ONLY-FOR-LOVE DÒMA-PER-AMÙR

ONLY-FOR-LOVE

DÒMA-PER-AMÙR

Un percorso che unisce narrazione e memoria collettiva in un’unica fotografia monumentale

Progetto promosso da Cooperativa Namasté con gli anziani e le famiglie del Centro Diurno di Treviolo

Con il contributo di:

Con il patrocinio di:

Si ringraziano:

Generali Onoranze Funebri
Centro Funerario Bergamasco Srl

Farmacia Bianchi sas

Il progetto

Un progetto per valorizzare la memoria collettiva

Il progetto, promosso dalla Namasté nello spazio del Centro Diurno Anziani di Treviolo e realizzato grazie al contributo di Fondazione della Comunità Bergamasca e di realtà del territorio, racconta i riti di un tempo attraverso il ricordo e la condivisione. Grazie alla guida di un’educatrice e di un esperto d’arte, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di ricostruire frammenti della loro storia personale e collettiva, dando vita a una testimonianza visiva unica: una fotografia monumentale che sarà esposta in un evento conclusivo aperto alla comunità.

Un approccio tra passato e presente

La memoria è fatta di tracce, tangibili e non, che come fili, sempre aggrovigliati, collegano il passato al presente. Ricordiamo attraverso selezioni e mescolanze, illuminando alcuni dettagli e lasciandone altri nell’ombra. Per gli anziani, e in particolare per coloro che vivono la demenza o il decadimento cognitivo, questo bagaglio di ricordi diventa fragile e sfuggente, con la memoria a breve termine compromessa, mentre quella profonda ha bisogno degli stimoli giusti per emergere. Ha necessità di tempo lento, di parole ancora pronunciabili, di dialetti per dirle.

Oggi viviamo in un mondo dominato dalla memoria esterna, archivi digitali infiniti che ci fanno dimenticare il valore del ricordo interiore. La società, tra celebrazione nostalgica e innovazione forzata, spesso trascura l’importanza di narrare e tramandare. Only For Love – Dòma per Amùr si interroga su queste tensioni, ponendo il ricordo come traduzione: un processo che permette di reinterpretare il passato con nuovi mezzi e nuove sensibilità.

Raccontare non significa celebrare, ma provare a recuperare, in un lavoro condiviso di ascolto e risposta, quello che è stato rendendo di nuovo possibile l’ancoraggio individuale a quello collettivo.

Gli incontri: tra memoria e fotografia

A partire da febbraio fino ad aprile 2025, presso il Polo Anziani di Treviolo, si sono tenuti una serie di incontri dedicati alla narrazione storica e alla ricerca fotografica, grazie ai quali sono state raccolte testimonianze e immagini per comporre l’opera finale, realizzata dal fotografo Maurizio Grisa.

Un’iniziativa resa possibile dal sostegno del territorio

Il progetto Only For Love – Dòma per Amùr è stato realizzato solo grazie al contributo della Fondazione della Comunità Bergamasca, al patrocinio del Comune di Treviolo e al sostegno di Generali Onoranze Funebri – Centro Funerario Bergamasco Srl e Farmacia Bianchi S.a.s. Senza dimenticare, ovviamente, il contributo di enti e associazioni locali che credono nell’importanza di mantenere vivi i legami tra passato e presente.

Le testimonianze

RENATA R.

Mi sono sposata in Comune a Milano, non in chiesa, perché mio marito non era praticante. Dopo abbiamo organizzato una bella festa. Ricordo che indossavo un cappotto elegante. Il viaggio di nozze l'abbiamo fatto in Liguria, per andare a trovare mia zia. Ho lavorato come ragioniera, anche se i numeri non mi sono mai piaciuti troppo, per una ditta di import-export, e la Dalmine era una delle nostre clienti.

LUISA B.

A 15-16 anni facevo autostop per andare a ballare a Nembro, che era lontano! Oppure andavamo dai Comunisti a Curno; a noi non importava che fossero comunisti. Per tornare, conoscevamo qualcuno lì che ci accompagnava a casa… e siamo sempre state fortunate.

La polenta con il coniglio la domenica era sacra, tassativo, un vero e proprio rito…guai se mancava!
Il giorno in cui è stato eletto il Papa, io ero a Pietra Ligure, in un albergo delle suore, perché avevo problemi alle gambe e ci sono rimasta per un anno e mezzo. Ero circondata da bresciane, anche le suore erano bresciane, mentre io, orgogliosa, ero una bergamasca. Io sono nata in casa qui a Treviolo e sono sempre stata qui.

LUCIA D.

Sono nata nel 1930 a Bisceglie, in provincia di Bari. Mi sono sposata nel 1952 a Bisceglie e poi sono arrivata a Treviolo nel 1956, perché nel frattempo i miei genitori si erano trasferiti qui quando sono andati in pensione. I miei genitori parlavano il dialetto biscegliese, e anche io lo parlavo. Quando loro sono venuti a vivere qui, mi mancavano tanto, così mio marito ha deciso di accontentarmi, anche se giù avevamo terreni, bestiame e un frantoio.

Di quando siamo arrivati qui a Treviolo ricordo che andavamo al bar Gualandris a guardare la TV, perché noi a casa non ce l'avevamo.

MARIA, figlia di LUCIA

Per me, il crollo del muro di Berlino è stato un simbolo di libertà.

Quando è successo il crollo delle Torri Gemelle, ero dal tabaccaio a pagare il bollo della Vespa e c'era il televisore acceso. Mi ha preso una grande paura.

TERESA P.

In realtà, a me piaceva il fratello di mio marito! Aldo non era il tipo galante che si metteva in ginocchio o andava a chiedere la mano a mio padre, mi disse semplicemente: "Proviamo". Mi sono sposata a 24 anni, nel 1959, a Curnasco con don Ruggeri. Indossavo un bel vestito bianco. In viaggio di nozze sono andata a Treviolo! Abitavo a Treviolo, mi sono sposata a Curnasco e il viaggio di nozze è stato ritornare a Treviolo.

Il matrimonio non è tutto rose e fiori, ci sono alti e bassi, ma alla legge sul divorzio ho votato NO.

MARIA M.

Sono nata a Dedonia, in provincia di Parma, poi, quando ero ancora piccola, mi sono trasferita in provincia di Reggio Emilia. A 15 anni sono arrivata a Reggio città, poi a Bologna e infine qui nella Bergamasca: prima ad Almè, poi a Boccaleone, in via Bonomelli e infine a Treviolo. Una vita fatta di tanti traslochi.

A Bologna preparavo i tortellini e i cappelletti in brodo. Qui, invece, la cuoca era mia suocera, e la domenica era sempre polenta e coniglio… col tempo, devo dire che mi è venuta quasi fuori dagli occhi!

NINA Z.

Prima parlavo il dialetto veneto, ma adesso, purtroppo, devo parlare in italiano perché mio genero mi sgrida. Però, mio nipote, che è bergamasco, ogni tanto mi parla in veneto e sentirlo mi emoziona.

Sono nata a Masi, in provincia di Padova, e sono dovuta venire qui perché mia figlia ha sposato un bergamasco. Purtroppo ho dovuto vendere casa perché ero rimasta sola, e così sono venuta qui.

MARIA GRAZIA R.

Da piccola giocavo tutto il giorno per strada a calcio, sul sagrato della chiesa di S. Alessandro. Sarei dovuta nascere maschio! Tornavo a casa sempre con i vestiti tutti rotti e le ginocchia sbucciate. Lì mi sono sposata presto, a 21 anni, e quando morirò, voglio tornare lì, nella Chiesina della Madonna di Sant'Alessandro, dove ho ricevuto tutti i sacramenti.

Quando mi sono sposata, il vestito non era mio, me l'ha prestato mia cugina, che si era sposata poco prima. Mia mamma era vedova con tre figlie e io non osavo chiederle nulla.

ALDO R., figlio di GRAZIA

Ricordo le Torri Gemelle, un minuto di silenzio mentre trasmettevano in diretta. La fatica di realizzare che stesse accadendo davvero.

Ricordo con estrema fatica il periodo del Covid. Oltre alla preoccupazione di non essere tramite di infezione, dovevo continuare a lavorare, essendo nel settore che doveva garantire la continuità. La sensazione di incredulità nel percorrere viale Papa Giovanni il pomeriggio e non vedere un'auto, il tutto amplificato da ciò che sentivamo dalla televisione.

MAURIZIO l.

Ho conosciuto mia moglie a una manifestazione, è stato un incontro casuale, fortuito. Era una donna molto intelligente, siciliana, e quando l’ho vista mi è piaciuta subito. Ho chiesto a un mio amico di presentarmela. Poi sono stato divorziato per 30 anni e ora sono vedovo, lei è morta un anno e mezzo fa.

In casa avevo appesi manifesti di lotta politica. Io facevo l’attacchino per Lotta Continua, partivo da Bergamo, riempivo la città di manifesti e arrivavo fino in cima alla Valle Seriana.

GIUSEPPINA N.

Mio marito era un uomo bellissimo, intelligente, comprensivo. Sono passati tanti anni da quando è morto, ma io sono ancora molto innamorata! L'ho conosciuto mentre ballavamo il tango al Minerva. Adoro ballare! Andavo di nascosto con una mia zia, sorella di mia mamma. Lei diceva al marito che andavamo a trovare una sua amica, ma in realtà andavamo a ballare. Mi truccavo di nascosto, fuori casa, cercando di nascondere tutto, perché mio papà non voleva che lo facessi. Dovevamo essere precise nell'orario di ritorno a casa. Mio marito, quando mi ha vista, ha detto ai suoi amici: "Vado da quella là, ma se mi pesta i piedi, la pianto lì in mezzo alla sala" ‘Ndo de chela là, ma se la me pesta i pè, la piante là in mès a la sala”, ma mi ha sposata ugualmente.

Ricordo la guerra, quando io, mia mamma e mia sorella andavamo sotto il tavolo o sotto il letto per ripararci. I vetri delle finestre tremavano. Ricordo anche una zia di Bergamo, che aveva un po' più di possibilità e ci portava un pezzo di pane e un po’ di taleggio sbriciolato.

Abitavo a Seriate e facevo la donna di servizio per una famiglia che viveva in Galleria Fanzago. Loro avevano quattro figli maschi. Lavoravo dalle 7 alle 7, sempre contenta, e cantavo sempre, anche quando pioveva. La bici la mettevo in cantina, e scendere le scale era facile, ma salire era faticoso. Tornavo a casa stanca, mangiavo un po' di taleggio e poi andavo a letto.

GIANLUIGI G, figlio di GIUSEPPINA N.

Da ragazzo mi sono sempre dato da fare in oratorio a Dalmine, facevo l’operatore del cinema e montavo le pellicole. C'erano due macchine, una con i carboncini che produceva la luce, e due pizze grandi: una piena e una vuota. Si cominciava il sabato pomeriggio. A volte dovevo gestire anche sei pizze per volta, montarle e controllare che fossero tutte dritte.

CHIARINA B.

Sono nata ad Albegno, abitavo in fondo al paese, in una casa con la cucina al piano terra e le camere di sopra. Vivevamo vicino allo stabilimento della Dalmine, che veniva bombardato spesso, e noi scappavamo giù in cantina per metterci al sicuro. I miei genitori avevano una salumeria con il forno per fare il pane, che io consegnavo con la bicicletta.

Ho conosciuto mio marito grazie alla salumeria: lui era muratore e lavorava in un cantiere vicino al negozio, veniva ogni giorno a comprare un panino. Non in tutte le case c’era la televisione, così molte notizie le scoprivo tramite L’Eco di Bergamo, anche quelle sul Papa di Bergamo, il Papa buono, che aveva detto di dare una carezza ai bambini e dire che era la carezza del Papa.

Ricordo la nascita della Lega Nord, che ha fatto anche cose giuste e importanti. Prima c’era chi comandava e non si poteva fare nulla, ma la Lega ha cambiato un po’ le cose.

GIUSEPPINA A.

Quando c'era la guerra, avevo paura dei tedeschi, soprattutto quando facevano la ronda la sera. Dopo le sei non si poteva più uscire e per andare in giro serviva una carta speciale, una delega. Il sabato si andava al Brumana per il sabato fascista, e ci tenevano lì per quattro ore a girare su e giù per il campo, una cosa da matti.

Alfredino ha messo in subbuglio tutta l’Italia: si sentiva piangere da sotto e sopra c'era la mamma disperata. Una notte intera l’ho passata davanti alla televisione.

Lavoravo al Masenghini, volevano farmi lavorare nell’ufficio di uno dei figli dei padroni, ma alla fine non mi hanno mandata perché ero troppo bella!

Il divorzio, se si deve fare, è meglio farlo. Se invece lo si fa solo per capriccio, allora si pecca. Mio marito era un po' un donnaiolo, e un bel giorno, senza dire nulla, ho preso le mie cose, gli ho lasciato solo le necessità della casa e me ne sono andata!

LODOVICA C.

Vivevo in campagna, mio papà faceva il fattore per la Contessa. Quando raccoglievamo le ciliegie, lei mi diceva di cantare, perché se canti non le mangi. Noi avevamo la televisione, ma i contadini no, allora lasciavamo il cancello aperto e anche loro potevano entrare a guardarla.

Ho fatto la vigilatrice alla colonia della Dalmine; preferivo i maschi perché non avevano bisogno di essere pettinati, li mettevi in fila ed erano pronti. Le bambine invece bisognava svegliarle dieci minuti prima per farle essere pronte al momento giusto.

Lo sbarco sulla luna l’ho visto in tv, c’era Tito Stagno che trasmetteva e spiegava la situazione, e in tv vedevo anche Pertini.


DELIA B.

Vengo da Ome, un paesino della provincia di Brescia, nella zona di Monticelli Brusati. Poi ho abitato a Palazzolo e adesso, da quando sono vedova, mi sono trasferita a Treviolo vicino a mia figlia.

Mio marito l’ho conosciuto sul pullman. Suo papà era antiquario e a casa avevamo dei quadri bellissimi, dei paesaggi in cornici dorate lavorate.

Ricordo di aver sentito alla radio lo sbarco sulla luna. Era come una fantascienza che diventava realtà.

Ho votato al referendum del divorzio, ero contraria perché andava contro i miei pensieri. Ora, però, ho qualche dubbio.

MARIO P.

Sono nato a Roma e, essendo orfano, sono stato portato a Bergamo al Patronato San Vincenzo da don Bepo, un grande uomo.

La mia prima macchina è stata una 124 di seconda mano.

Ricordo il muro di Berlino, ricordo di aver passato la Porta di Brandeburgo, di essere andato nella sezione dove c’erano i Russi, a Berlino Est, ero lì per lavoro, stavamo costruendo un ufficio postale.

Sono divorziato, mia moglie ne ha un po' approfittato; del divorzio ne parlavano sempre Pannella e la Bonino.

LUCIA P.

Vivevo a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, sono stata lì per più di cinquant'anni, proprio dove c’era l'ospedale, e ora vivo dal figlio a Dalmine.

Lavoravo alla Magneti Marelli, facevo tergicristalli, trombe e motorini, e avevo amiche che lavoravano alla Pirelli e alla Falck. Ogni tanto facevamo sciopero, alla radio e in televisione ci chiamavano "le tute blu", io però avevo il grembiule blu.

La domenica andavo a ballare al Fiorani, si ballava il liscio, il boogie e anche lo shake.

MICHELE B.

Sono nato nel 1938 a Curdomo, un paese che di fatto non esiste più, che univa Curno, Dorotina e Mozzo. Ho vissuto tutta la vita qui, nella casa che ho costruito io. Sono rimasto orfano da piccolo e a dieci anni ero già in fabbrica. Poi sono diventato operaio specializzato e nel tempo libero aiutavo lo zio Camillo che aveva un’impresa edile.

Ho fatto la scuola media serale e lì ho conosciuto mia moglie. Ricordo che lei si presentò all'esame di ginnastica di terza media con i tacchi!

Ricordo i bombardamenti della Dalmine e soprattutto il suono del Pippo, un aereo che passava e dava l’allarme. Quello che succedeva lo sentivamo alla radio, che tenevamo accesa nel cortile così tutti potevano ascoltarla.

GLORIA, figlia di MICHELE

Ho fatto l'assistente di volo e l’attentato alle Torri Gemelle mi ha particolarmente colpita. Sapevo cosa volesse dire essere a bordo, lavorarci, e immaginavo la scena. Lavorando sull’aereo ti preparano per le emergenze, il fuoco, gli atterraggi e anche per gente che può diventare pericolosa. Ma una eventualità del genere credo fosse inimmaginabile!

ANGELA P.

Ho avuto dei morosi, due o tre, ma duravano poco perché io non avevo intenzione di sposarmi. Non l’ho mai voluto, mi sono goduta la vita come volevo io.

Ho viaggiato, sono stata a Rimini, a Rivabella, ma ho anche girato il mondo, sono andata anche a Bordighera!

A casa avevamo il telefono, era lì perché lo avevano tutti e l’abbiamo preso anche noi.

ELENA, nipote di ANGELA

Quando ho saputo che a Lallio, dove c’è la cartiera, c'era un piccolo campo di concentramento, è stata una novità per me. Nell'immaginario si pensa che abbiano colpito solo gli ebrei, ma hanno colpito tante persone diverse.

MARIANGIOLA P.

Sono nata a Valbrembo e da sposata sono venuta alla Roncola, in casa della suocera. Sono rimasta vedova a trentasei anni, con sette figli piccoli, l’ultimo aveva solo 8 mesi. Era una fatica infinita.

Lavoravo a Gazzaniga durante la settimana, tornavo a casa solo il sabato e la domenica, facevo l’inserviente in ospedale, facevo un po' di tutto, giorno e notte, sempre su e giù per quattro piani di scale. Le suore erano tremende!

ENRICA, figlia di MARIANGIOLA

Era il 1979 e qui a Bergamo, in un tendone a Celadina, è venuto Renato Zero con Il Triangolo. Con le sue tutine aderenti, le sue maschere e il suo trucco molto particolare. È stato il primo concerto che ho visto, avevo tredici anni e mia mamma non era tanto d’accordo.

ENRICO R.

La guerra del 40-45 me la ricordo bene, l’ho vissuta. Il potere era in mano al fascismo, c'era il re, ma contava pochissimo, tutto era in mano al fascismo che ci ha portato alla guerra. Roba da matti!

Del divorzio ne sentivo parlare, ma non sapevo nemmeno bene cosa fosse. Era così lontano dalla nostra mentalità paesana e parrocchiale, sembrava un concetto americano, inimmaginabile in Italia.

Il cellulare è stata un’invenzione abbastanza innovativa! Adesso lo uso, ovvio, coi tempi che corrono non puoi farne a meno.

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